Le due aree vitivinicole più prestigiose di Francia sono la regione intorno a Bordeaux, tagliata dai fiumi Garonna, Dordogna e Gironda, e la terra fra Digione e Mâcon, in Borgogna.
In entrambe si producono da secoli vini celebri e di altissima qualità. Eppure queste due regioni sono molto diverse fra loro, per tipo di territorio, clima, vitigni tipici, metodi di produzione e valori tradizionali.
Per esempio, mentre a Bordeaux dominano i vini ottenuti miscelando dai due ai quattro vitigni tipici (i rossi, da tutti o da alcuni fra Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot; il bianco dolce Sauternes, da Sémillon, Sauvignon blanc e Muscadelle), i grandi vini di Borgogna sono quasi invariabilmente monovitigno: i grandi rossi si fanno dal Pinot noir e i grandi bianchi dallo Chardonnay.
A Bordeaux la produzione è vasta, in Borgogna è piuttosto limitata. I grandi vini di Bordeaux vengono da sottozone diverse (fra cui Médoc, Pessac-Léognan, Saint-Émilion, Pomerol, e Sauternes). Invece, quando si parla di grandi vini di Borgogna ci si riferisce quasi esclusivamente alla Côte d’Or, che a sua volta si divide in due parti: la Côte de Nuits, dove si fanno i Pinor noir; e la Côte de Beaune, dove invece nascono gli Chardonnay. (La collina di Corton segna il confine fra le due côte.)
Una risorsa eccellente per imparare a conoscere il mondo del vino è il World Atlas of Wines, di Hugh Johnson e Jancis Robinson (giunto alla 7a edizione e disponibile anche in italiano; esiste anche un’edizione e-book, ma solo in inglese e solo per iPad). La Borgogna è trattata nei dettagli e il testo è corredato da tante belle mappe topografiche delle zone vinicole.
Fra il materiale online, il sito del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (BIVB; disponibile anche in inglese, tedesco, giapponese e cinese) è vasto, ma vale la pena passare del tempo a esplorarlo. Infatti e ricchissimo di informazioni di prima mano su tanti aspetti diversi della antica e prestigiosa tradizione vitivinicola della Borgogna.
Fonti come queste sono molto utili, perché l’artigianato del vino in Borgogna è un puzzle complesso, e non è affatto facile orientarsi. Eppure, nonostante Internet o i libri possano dare grandi soddisfazioni ai curiosi e agli appassionati pazienti, alcuni pezzi del puzzle sono destinati a rimanere fuori, perché sono dominio dei sensi. Se le foto o le immagini possono anche dare una buona idea dei colori del vino, gli aromi e i sapori appartengono ancora (e forse per sempre) all’ambito dell’esperienza diretta della degustazione (o tasting, come si dice sempre più spesso anche in Italia).
Ecco perché oggi vorrei anche condividere le impressioni e le conoscenze che ho ricevuto durante una degustazione organizzata a Bologna dalla Accademia Internazionale Enogastronomi Sommeliers (AIES), dedicata appunto ai vini di Borgogna e, in particolare, ai bianchi ottenuti dal vitigno Chardonnay. Ma prima vediamo un po’ meglio che cos’è lo Chardonnay e come è usato in Borgogna.
Lo Chardonnay è un vitigno cosiddetto “internazionale”, cioè una di quelle varietà di Vitis vinifera che ha dimostrato ottime capacità di adattamento a climi e territori diversi. In effetti, i vini a base di Chardonnay, alcuni ottimi, si fanno in tutto il mondo: oltre che in Francia, in altre parti d’Europa, Italia compresa, e poi in USA, Cile, Argentina, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda. Ma la celebrità di questo vitigno si deve a due prodotti francesi: lo Champagne e, appunto, i vini Chardonnay di Borgogna.
Lo Chardonnay è un vitigno “femminile”, perché è versatile e “ricettivo”. Non ama troppo il caldo, ma è felice di assumere le caratteristiche dell’ambiente in cui è piantato e lavorato. Perciò è un vitigno perfetto per esprimere il terroir, quell’amalgama un po’ magico di natura e di cultura che i vinificatori cercano spesso di esaltare al massimo nei loro prodotti, perché trasmette la tipicità e l’individualità personale. Le componenti principali di un terroir sono la geologia, il clima e la tradizione vitivinicola del luogo di produzione.
Chiaramente, non tutti i terroir sono buoni nello stesso modo, e spesso la differenza è data soprattutto dalle caratteristiche naturali. In Borgogna, e specialmente nella Côte de Beaune, queste sono così favorevoli allo Chardonnay che il vitigno non ha quasi bisogno di altro per esprimersi in maniera superba. È qui che è nato, come fortunato ibrido naturale fra il Pinot blanc e il Gouais (probabilmente nell’Alto Medioevo), ed è qui che ha ricevuto l’attenzione dei coltivatori, dei vinificatori e dei commercianti.
Se vai sul sito di BIVB o se consulti l’atlante di Johnson e Robinson, puoi scoprire che in Borgogna le denominazioni di origine si dividono in quattro categorie qualitative generali, che dalla più bassa alla più alta sono: denominazioni regionali, denominazioni comunali, denominazioni premier cru e denominazioni grand cru. Anche in altre parti del mondo (Italia compresa) le denominazioni di origine sono più o meno prestigiose, e il concetto di cru, che generalmente identifica un vigneto specifico particolarmente vocato, è stato adottato informalmente in diversi paesi. Però in Borgogna “premier cru” e “grand cru” sono anche etichette ufficiali.
Il nome del vino come appare in etichetta stabilisce a quale categoria appartiene:
1) Vini regionali: nome del produttore + “Bourgogne” (+ “blanc”, se è un vino bianco; se è un vino rosso, allora non si indica.)
2) Vini comunali: nome del produttore + nome del Comune in cui si trova il vigneto (eventualmente + “blanc”.)
3) Vini premier cru: nome del produttore + nome del Comune in cui si trova il vigneto + nome del vigneto. (I vigneti sono monovitigno e, nel caso dei premier cru e dei grand cru, è ben noto se si tratta di Chardonnay o di Pinot noir. Perciò il colore del vino è implicito.)
4) Vini grand cru: nome del produttore + nome del vigneto.
Quindi non tutti i vini Chardonnay di Borgogna sono uguali. Dicevo prima che i migliori si fanno in Côte de Beaune, ma anche qui ci sono differenze importanti. È interessante notare che le differenze qualitative non dipendono tanto dal tipo di lavorazione in cantina. Infatti, tutti i vini bianchi ottenuti da Chardonnay in Borgogna fermentano in acciaio e passano fra i 12 e i 18 mesi in barrique da 228 litri. La qualità dipende invece principalmente dal tipo di suolo della vigna, dalla sua esposizione geografica, e dall’età delle viti.
Il suolo favorevole alla coltivazione della vite in Borgogna ha tre componenti principali: calcare, marna e argilla. Lo Chardonnay dà il meglio di sé in terreni in cui queste componenti sono ben equilibrate, e che di solito di trovano sul versante est delle Côte, e a metà strada fra la base e la cima delle colline. Qui si trovano quasi tutti i vigneti grand cru e premier cru. I vigneti posti immediatamente sopra o sotto questa fascia, meno fortunati, sono invece usati per produrre i vini a denominazione comunale. Infine, i prodotti a denominazione regionale sono ottenuti da uve coltivate più a valle.
La degustazione organizzata dall’AIES prevedeva l’assaggio di cinque Chardonnay: uno a denominazione regionale, due a denominazione comunale e due premier cru. I grand cru sono vini difficilissimi da trovare e costosissimi (anche più di mille euro a bottiglia); di solito sono riservati a pochi ristoranti di lusso parigini. Ma l’assenza dei re è stata compensata degnamente dalla presenza di alcuni principi. (I prezzi che ho riportato sono quelli di wineandco.com, un buon negozio online, tranne che per il Domaine Bruno Clair Pernand-Vergelesses blanc 2011, di cui invece riporto il prezzo di wine-searcher.com, perché al momento non è in catalogo su wineandco.com.)
L’assaggio prende il via con un vino a denominazione regionale, il “Domaine Rémi Jobard, Bourgogne blanc” del 2012 (22 euro). Dal colore giallo paglierino scarico (come peraltro tutti gli altri), ha un’aroma abbastanza intenso. In bocca spicca l’acidità, ancora ottima dopo quasi quattro anni di vita. I vini di Borgogna sono tutti longevi. Quelli a denominazione regionale possono evolvere bene anche per dieci anni. Secondo i produttori locali, la longevità del vino dipende specialmente dall’età delle viti. I premier cru si ottengono solo da viti che hanno almeno 25 anni.
Il secondo vino è appunto un premier cru, e il salto di due livelli si sente. Il “Jean Chartron, Saint-Aubin Les Murgers des Dents de Chien” del 2013 (32 euro) è un esplosione di aroma e di sapore. La grande intensità olfattiva è confermata in bocca da un gusto complesso, in cui spiccano i minerali e gli idrocarburi. L’acidità non manca, però è stemperata da una cremosità deliziosa. È un vino piuttosto maturo, che mi colpisce per il forte equilibrio e per la ricchezza di note olfattive e gustative.
Si passa a un prodotto comunale, il “Domaine Bruno Clair, Pernand-Vergelesses blanc” del 2011 (27 euro). Anche in questo caso, si nota il passaggio di livello (a scendere). È un vino di quasi cinque anni e si inizia a percepire un principio di ossidazione. Però si sente anche una evidente nota di legno che lo rende morbido e piacevole.
Il quarto vino è ancora un comunale, ma che sorpresa! Lo Chardonnay “Olivier Leflaive, Puligny-Montrachet” del 2013 (44 euro) è un vero campione. È intenso al naso e ricco di minerali e idrocarburi in bocca, non meno del premier cru Saint-Aubin di prima. Però è meno cremoso e più acido. Tenendo conto del fatto che è “solo” un vino a denominazione comunale è che però, come il Saint-Aubin, è del 2013, mi viene in mente che potrebbe evolvere meglio del cugino, che sulla carta è più prestigioso.
L’ultimo vino è un “Domaine Albert Grivault, Meursault Perrières” del 2012 (85 euro). Un premier cru molto cremoso, piuttosto equilibrato ed elegante. La buona acidità lascia presagire anni di ulteriore evoluzione interessante. Riassume bene le caratteristiche di queste terre, e perciò è ideale per chiudere la rassegna. (La notevole differenza di prezzo fra questo premier cru e quello di Jean Chartron è dovuta probabilmente al maggiore prestigio dei vigneti di Meursault rispetto a quelli di Saint-Aubin.)
Se ti è capitato di assaggiare degli Chardonnay prodotti in Italia, forse sei rimasto sorpreso da queste descrizioni. In effetti, nel nostro Paese, generalmente, le caratteristiche geologiche e climatiche non permettono lo sviluppo di prodotti come quelli che ho descritto. Lo Chardonnay italiano si ottiene soprattutto da piante abbastanza giovani, e l’uva non è particolarmente adatta a maturare in legno. Dunque sono vini meno longevi, con una vita media di due/tre anni, che rilasciano soprattutto gli aromi e i sapori “primari” dell’uva e meno quelli secondari, dati dall’elaborazione in cantina.
Invece, come menzionavo, gli Chardonnay di Borgogna fanno tutti legno, possono evolvere anche per diversi decenni, e col tempo perdono molte delle caratteristiche tipiche dell’uva e acquistano mineralità e cremosità. Tutto ciò ne giustifica il pregio e il prezzo. Chiaramente, è anche una questione di gusti personali. Anche gli Chardonnay giovani, freschi, e leggeri possono essere dei buoni prodotti e, se ti piacciono i bianchi di questo tipo, allora ha poco senso spendere molto in prodotti più raffinati. E poi, per apprezzare un vino complesso ci vuole conoscenza e molto esercizio. I corsi e gli incontri organizzati dall’AIES sono un’ottima opportunità anche per esplorare vini come questi, poco diffusi nel mercato italiano.
Vorrei chiudere con qualche informazione contestuale su alcuni aspetti economici.
In questa regione vitivinicola, i vigneti sono molto piccoli, e addirittura a volte superano appena l’ettaro. Eppure, quasi mai un vigneto ha un unico proprietario. Inoltre, diversamente da Bordeaux, le vigne di Borgogna sono quasi tutte in mano alle stesse famiglie locali che le hanno possedute per secoli. Per non alienare i vigneti, gli eredi sopportano alti costi di successione, che contribuiscono a far salire il prezzo di queste terre, già pregiate per la loro speciale vocazione vitivinicola. Come riferimento, si consideri che appena mille metri quadrati (un decimo di ettaro) di vigneto grand cru possono costare anche un milione di euro. Perciò i possedimenti di gran parte dei produttori di Borgogna sono necessariamente molto frammentati. (Ecco, per esempio, le aree vitate di Bruno Clair, divise per denominazione.)
Altri produttori non possiedono la terra, ma invece comprano l’uva dai proprietari-coltivatori. C’è un certo risparmio, ma comunque anche l’uva può essere molto cara. Per esempio, lo Chardonnay coltivato nel prestigioso comune di Montrachet costa in media 6000 euro al quintale.
In queste condizioni di frammentazione e di alti costi, si può fare del volume quasi solo con vini a denominazione regionale. Invece, gran parte dei vini comunali, e tutti i premier cru e i grand cru sono necessariamente prodotti in piccole quantità. Tutto ciò, insieme all’indiscussa alta qualità dei vini, determina i prezzi finali elevati.
È stato un lungo viaggio, ma spero di aver sollecitato la tua curiosità e il tuo interesse. Buona esplorazione!
(Federico Aldrovandi ha guidato la degustazione dell’AIES e ci ha insegnato tantissime cose sulla Borgogna. Senza la sua lezione, questo post sarebbe stato certamente diverso. Grazie!)
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