Durante l’ultimo evento wine2wine di Verona sono state trattate diverse tematiche relative al mondo del vino. La scelta degli argomenti proposti è sempre difficile. Io, per esempio, ho scelto di seguire quelli relativi al Marketing, con un focus particolare sul Branding e sullo Storytelling, e sul mercato USA.
Sì allo storytelling per gli USA, ma non solo
Vendere all’estero non è solo una questione di qualità e prezzo ottimali. Si tratta di capire la cultura del paese target e adattare la nostra comunicazione a esso. Vista la mia passione per il mercato americano non potevo perdermi l’intervento di Steve Raye, presidente di Bevology, sui segreti per vendere con successo in America.
Da questa conferenza ho tratto molti spunti per riflessioni personali, e ho potuto comprendere meglio anche alcune reazioni da parte di prospect americani che, in passato, mi avevano lasciata un po’ perplessa. L’approccio più interessante in USA è quello di poter separare la simpatia verso la persona dal business. L’idea fondamentale è che tutto può essere realizzato, ma questo dipende da ogni singolo individuo (“we are selfish”, diceva il relatore). Ma tale individuo ha anche poco tempo perché deve pensare a se stesso e al suo business, perciò la prima impressione che gli si dà è fondamentale. Se non si riesce a lasciare il segno subito, è difficile che l’interlocutore americano sia interessato a dedicarci tempo dopo.
In quanto all’operatività del business, un aspetto cruciale si trova nel budget disponibile per la promozione in POS e Marketing. Per le piccole cantine potrebbe essere difficile concedere degli sconti mirati a colmare questo budget, ma questi investimenti sono necessari. Basta pensare ai wine shop a New York: come si riesce a far distinguere il proprio marchio in un mare di vini di tutto il mondo? Il secondo aspetto sottolineato da Raye è stato “la storia che racconti”. Cioè la capacità del brand di raccontarsi e di impressionare il buyer o i consumatori.
Quanto alle difficoltà a emergere tra tutte le cantine che si propongono al consumatore, è utile pensare alle parole di Cristina Mariani-May, di Castello Banfi, durante l’intervento “Il mondo dopo Parker”. Mariani-May ha chiaramente spiegato come i punti ottenuti dai vini sono ancora importanti per riuscire a vendere alle grandi catene. Ma in realtà quello che importa è la storia che la cantina e il vino raccontano. È sempre più evidente che il consumatore si lascia guidare al momento dell’acquisto da quello che legge sui social media.
Dunque la domanda sorge spontanea: come farsi trovare nelle eventuali ricerche dei consumatori esteri? Come suggerivo durante il mio intervento, la prima risposta è selezionare i mercati target, e i propri obiettivi, e stanziare un budget per il Marketing e le Digital PR, in lingua. Potrebbe non essere semplice per una piccola realtà, ma anche in questo caso è in vigore la regola “pochi, ma buoni”.
Se non si conosce a fondo la lingua e cultura del paese che interessa, è sempre meglio affidarsi a professionisti esterni per la creazione dei contenuti e le pubbliche relazioni con influencer, blogger e portali esteri. Purtroppo, a volte non è facile comunicare in altre lingue nemmeno nell’offline. Una difficoltà che affrontano molti export manager è quella di spiegare i loro vini con dei termini chiari agli interlocutori esteri. In questo caso formazione e curiosità sono due requisiti indispensabili per l’export. Per esempio, conoscere anche le caratteristiche organolettiche dei vini esteri paragonabili ai propri vini potrebbe aiutare a descrivere un prodotto e a capire meglio che tipo di vino sta cercando il buyer.
L’importanza del brand per uscire dal mucchio
Ho anche potuto ascoltare Robert Joseph durante il workshop “Ingredienti segreti per un brand di successo”. In questa discussione hanno dato i loro contributi Patrizia Cianetti di Ducati Motor e Andrea Illy di Illycaffè SpA. Uno dei punti fondamentali che è emerso chiaramente durante il loro intervento è la necessità di separare il proprio brand dal commodity. Questo è l’unico modo per poter entrar in contatto con il consumatore finale.
L’esempio fatto da Joseph è molto chiaro e ci aiuta a capire questa distinzione. Se il consumatore finale vuole comprare un Chianti, sicuramente gli interesserà sapere il prezzo e l’eventuale disponibilità del prodotto, ma è meno probabile che gli interessi anche chi ha prodotto il vino. Effettivamente, il vero salto di qualità, cioè l’allontanamento dal semplice commodity, accade quando il consumatore dice, “voglio comprare un Antinori”. Non è più un semplice vino di una certa zona, il brand è riuscito a creare un coinvolgimento emotivo con la persona.
Come sottolinea Jospeh, i brand vincenti sono quelli che riescono a stabilire una relazione emozionale con le persone, quelli che riescono a entrare nella mente del consumatore e a innescare il desiderio specifico dei loro prodotti. In questo modo, i consumatori non pensano solo a un caffè, per esempio, ma pensano a un caffè da Starbucks. Sono appunto i brand che riescono a creare un engagement tale che il consumatore è disposto a pagare il prezzo necessario per acquistare i prodotti, anche se tale prezzo è superiore alla media della categoria.
Conclusioni
I termini più utilizzati durante queste due giornate, piene di formazione e aggiornamenti, non sono stati scelti a caso: brand identity, Brand awareness, engagement, storytelling, communtity. Essi riflettono i trend del mercato del vino. Ma oltre a queste parole, prese in prestito dall’inglese per parlare di Social Media Marketing e dei Millennials, i produttori di vino hanno anche un tesoro in mano: il vissuto dei fondatori delle cantine, delle difficoltà che hanno superato, delle loro innovazioni e soprattutto del loro capitale umano.
Questi termini e queste azioni fanno parte di un concetto basilare: creare relazioni. Sono le relazioni quelle che permettono di vendere un vino, di persona o via web. Ma le relazioni non si costruiscono da un giorno all’altro. Pianificazione, impegno e costanza sono alla base della loro costruzione. Ma possono non bastare. Bisogna impiegare tutte le risorse necessarie, se presenti in azienda, altrimenti è necessario reperirle all’esterno. E soprattutto bisogna raccontarsi!
Ti senti pronto per raccontare il tuo brand? Raccontami la tua esperienza 🙂
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