“Indian summer” (estate indiana) è un’espressione in inglese di origine incerta che indica un periodo di tempo secco e mite in pieno autunno boreale. L’aggettivo “indiana” si riferisce ai nativi del Nord America, forse perché tale condizione climatica fu osservata per la prima volta (verso la fine del XVIII secolo) in certe aree che erano ancora abitate prevalentemente da nativi. Incertezze etimologiche e riferimenti precisi a parte, l’espressione risulta troppo invitante per non essere adottata a indicare metaforicamente l’emergere dell’India sul panorama internazionale durante questa estate 2023.
A luglio, diventava ufficiale la stima di fine aprile che l’India aveva effettivamente sorpassato la Cina come paese più popoloso del mondo; il 23 agosto, una sonda indiana atterrava con successo sulla Luna, facendo dell’India il quarto paese ad avere raggiunto il nostro satellite; e lo scorso fine settimana (9-10 settembre) si svolgeva a Nuova Delhi il diciottesimo G20.
L’IMF prevede che a fine anno il prodotto interno lordo indiano sarà cresciuto del 6,1% e che crescerà di un ulteriore 6,4% nel 2024. Le stime per la Cina sono rispettivamente del 5,2% e del 4,5%. Stiamo forse assistendo all’inizio di una “fase indiana” dopo la più che decennale “fase cinese”? Difficile a dirsi, ma di certo l’India ha dimostrato più resilienza della Cina dopo la pandemia e l’impeto potrebbe non esaurirsi sotto la spinta degli stimoli attuali.
Negli ultimi anni, l’India ha conquistato rilevanza anche per quanto riguarda il mercato delle bevande alcoliche. Secondo l’IWSR, nel periodo 2021-2022, l’India è stata responsabile da sola per un terzo della crescita globale in volume, a spese soprattutto di USA e Cina. E si stima che insieme a Messico e Brasile l’India rappresenterà importanti fette di crescita in volume anche nei prossimi 5 anni. Dal punto di vista del valore, USA e Cina continueranno a dominare, ma i redditi pro capite degli indiani stanno crescendo rapidamente e non è improbabile che sempre più persone acquisiranno abbastanza potere d’acquisto da determinare una crescita sostanziale del mercato indiano degli alcolici di media e alta fascia.
Anche in India infatti si hanno segni inequivocabili di una certa “premiumizzazione”, cioè della tendenza a spendere nei prodotti più cari, alcolici compresi. Fino a pochi anni fa confinati a Delhi e Mumbay, i cocktail bar e le rivendite di alcolici al dettaglio si stanno ora diffondendo in diversi altri grandi centri del paese.
Dopo la pandemia, il mercato del vino è calato globalmente in volume e ci si aspetta che almeno fino al 2027 rimarrà piuttosto piatto. Tuttavia, continua a crescere lentamente in valore, spinto soprattutto dai prodotti di alta fascia e dai vini frizzanti e spumanti. Per entrambe queste categorie si prevede un aumento in valore di circa il 2% fra il 2022 e 2027. A Mumbay circa un terzo dei consumatori di alcolici comprano più vino di un anno fa, soprattutto vino di alta fascia, e lo consumano soprattutto a casa. Questa tendenza è nata durante le restrizioni imposte dalla pandemia e sembra che ormai si sia affermata come un’abitudine. E sembra che chi può permetterselo sia sempre più attratto da uno stile di vita che cerca di trarre il massimo piacere dal momento attuale, data l’instabilità della vita moderna, e perciò spenda volentieri in beni voluttuari.
D’altro canto l’India ha storicamente un rapporto con l’alcol contrastato. A differenza della Cina, bere alcolici non è centrale nella cultura indiana. Inoltre, l’India è effettivamente una federazione di stati, e ogni stato ha regole proprie di gestione delle bevande alcoliche. In alcuni casi, il mercato è relativamente aperto mentre in altri i controlli dei governi sono molto stretti. Un punto centrale è il fatto che i dazi sugli alcolici rappresentano spesso la principale entrata di uno stato indiano, e perciò è difficile che scendano nel breve tempo. Nello stesso tempo, il mercato indiano degli alcolici è in forte crescita, spinto soprattutto dalla birra e dai distillati e dal forte interesse dei consumatori giovani. E l’India è anche un produttore di vino in espansione.
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Il panorama dunque è variegato e non privo di contrasti, ma sembrano esserci i presupposti per lo sviluppo e la diffusione di una cultura del vino più matura. Ovviamente però, questo non dipenderà solo dagli indiani, ma anche dai produttori di vino interessati a entrare nel mercato indiano. Cantine ed enologi potrebbero approfittare dell’entusiasmo appena generato dalla “estate indiana” per iniziare a proporre i vini italiani e le specifiche competenze (know-how) italiane. La speranza è che in India non accada ciò che è accaduto in Cina, con la Francia apripista e stabilmente in prima fila e l’Italia relegata a seconda scelta. Oltretutto, a differenza che in Cina, in India è possibile comunicare il vino agevolmente ed efficacemente in inglese. Ma si tratterà anche di esplorare e sviluppare stili di comunicazione e strategie adatti al mercato e alla cultura indiani, e non commettere l’errore di dare per scontata la conoscenza della nostra tradizione vitivinicola.
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